A sud di Phnom Penh, a circa 15–17 km dal centro, si trova Choeung Ek, il più noto tra i Killing Fields della Cambogia. In questa ex area agricola, trasformata in campo di esecuzione dai Khmer Rossi, furono condotti migliaia di prigionieri destinati a non fare ritorno. Oggi il visitatore cammina tra fosse comuni, pannelli esplicativi e una grande stupa bianca che custodisce i resti delle vittime. È un luogo dove il silenzio non è assenza, ma presenza pesante di voci che non possono più parlare.
Quando i Khmer Rossi presero il potere nel 1975, imposero una rivoluzione radicale: città svuotate, scuole chiuse, religione proibita. Chiunque fosse sospettato di “tradimento” veniva arrestato, interrogato e infine eliminato. Il risultato fu un genocidio che in soli quattro anni portò alla morte di 1,7–2,2 milioni di cambogiani, quasi un quarto della popolazione. Non si trattò di un caos disordinato, ma di un sistema organizzato che trasformò la vita quotidiana in una macchina di sospetto e violenza.
Il campo di Choeung Ek non fu un luogo isolato, ma la naturale prosecuzione di Tuol Sleng (S-21), la prigione di Phnom Penh dove le persone venivano torturate e costrette a firmare confessioni. Dopo gli interrogatori, i prigionieri venivano caricati su camion e trasferiti qui per l’esecuzione notturna. Nel 2025, l’UNESCO ha riconosciuto ufficialmente Choeung Ek come parte dei Cambodian Memorial Sites, insieme a S-21 e M-13, sancendo il valore universale della loro memoria.
Dopo la caduta del regime, il terreno di Choeung Ek rivelò migliaia di resti umani, esumati dalle fosse comuni che punteggiano ancora oggi il sito. La stupa centrale conserva oltre 5.000 crani, esposti in teche trasparenti come monito visibile del massacro. Quello di Choeung Ek è solo un tassello: in tutta la Cambogia, il Documentation Center of Cambodia ha censito 19.733 fosse comuni e quasi 200 prigioni legate al genocidio. Questi numeri, pur freddi, mostrano la vastità di un progetto criminale che non risparmiò nessuna provincia.
Oggi Choeung Ek è un memoriale nazionale e internazionale. Il percorso di visita è sobrio e costruito per educare, con audioguide multilingue e pannelli che accompagnano il visitatore passo dopo passo. Camminando, si incontrano fosse delimitate, resti di ossa che affiorano dal terreno durante la stagione delle piogge, e infine la stupa memoriale. Non c’è nulla di spettacolare: la forza del luogo è proprio nella sua essenzialità. Qui la memoria è più forte della pietra, e il dolore resta inciso nel terreno.
Le migliaia di persone portate qui erano contadini, insegnanti, studenti, monaci. Ognuno aveva un nome, una vita, una famiglia. Le fotografie conservate a S-21 ci restituiscono i loro volti, fissi nel momento in cui la speranza era già svanita. A Choeung Ek queste assenze diventano collettive: fosse che raccolgono destini spezzati, crani che testimoniano senza parole. Ricordare significa ridare loro voce, almeno attraverso la memoria di chi resta.
Tra gli elementi più dolorosi del memoriale c’è il cosiddetto “Killing Tree”. Le indagini e le testimonianze hanno rivelato che qui i soldati prendevano i bambini per le gambe e li sbattevano contro il tronco fino a romperne il cranio, spesso davanti alle madri. Era un atto di crudeltà calcolata: eliminare i figli significava, secondo la logica genocidaria, “non lasciare radici che potessero crescere”. Oggi il tronco è ricoperto di braccialetti colorati lasciati dai visitatori come segno di lutto e vicinanza. Un gesto semplice, ma potente: la violenza cieca è stata trasformata in memoria viva e condivisa.
Chi visita Choeung Ek si confronta con una prova difficile. Le audioguide raccontano storie, i pannelli spiegano i meccanismi del genocidio, ma il vero impatto sta nel camminare sul terreno stesso del crimine. L’esperienza è insieme storica e umana: educare alla memoria significa anche accettare di attraversare un dolore che non appartiene solo alla Cambogia, ma al mondo intero.
I Killing Fields non sono attrazioni turistiche, ma luoghi di coscienza. Ricordarli significa riconoscere quanto fragile sia la pace e quanto pericolosa possa essere la combinazione di ideologia, paura e potere incontrollato. La memoria non è un esercizio sterile: è l’unico strumento che ci permette di impedire che la storia si ripeta.
S-21: Tuol Sleng, la prigione del terrore dei Khmer Rossi → la prigione di Phnom Penh dove iniziava il destino dei deportati.
La liberazione di Phnom Penh (1979): i vietnamiti e la caduta dei Khmer Rossi
UNESCO – World Heritage List: Cambodian Memorial Sites (M-13, Tuol Sleng/S-21, Choeung Ek).
Reuters – Cambodia marks UNESCO recognition of Khmer Rouge sites (luglio 2025).
AP News – Cambodian sites of Khmer Rouge brutality added to UNESCO heritage list (luglio 2025).
US Holocaust Memorial Museum (S-21) – scheda prigione e deportazioni verso Choeung Ek.
DC-Cam – Mapping Project: censimento di fosse e prigioni del genocidio.
UNESCO (Peace & Education Project, 2025) – interventi educativi e di conservazione.
CBS/AP (2009) e The Independent (2009) – testimonianze in tribunale sul Killing Tree.