Prima che Phnom Penh diventasse il simbolo di una tragedia senza precedenti, era conosciuta come la “perla dell’Asia”. Negli anni ’50 e ’60 la capitale cambogiana era un centro cosmopolita in cui la modernità dialogava con tradizioni millenarie. Le rive del Mekong erano illuminate dalle insegne dei cinema, le strade brulicavano di motorini, mercanti, studenti e artisti. I mercati offrivano profumi e lingue diverse, mentre i teatri e le radio diffondevano musica senza sosta. Phnom Penh sembrava una città invincibile, sospesa in un’epoca di creatività e crescita.
Negli anni ’60 la capitale cambogiana era considerata una delle città più moderne e vivaci del Sud-Est asiatico. Le cronache internazionali la definivano “la Parigi dell’Est”, per l’eleganza dei boulevard, la fusione di architettura coloniale e design moderno e la ricchezza della scena culturale.
Sotto la guida del re Norodom Sihanouk, Phnom Penh diventò un laboratorio di modernizzazione. L’architetto Vann Molyvann lasciò il segno con opere iconiche come lo Stadio Olimpico, simbolo di una Cambogia che guardava al futuro senza rinnegare le proprie radici. Nei mercati convivevano comunità khmer, cinesi, vietnamite e indiane, creando un mosaico culturale unico nel suo genere.
Era la stagione d’oro della creatività. Le voci di Sinn Sisamouth e Ros Sereysothea riempivano le radio e i club, fondendo sonorità tradizionali con rock, soul e influenze occidentali. Il cinema cambogiano viveva un periodo irripetibile: oltre 300 film prodotti in un decennio, festival e sale piene, artisti osannati. Phnom Penh respirava libertà, movimento, futuro.
Poi, nell’aprile del 1975, il silenzio calò all’improvviso. Con l’ingresso dei Khmer Rossi, quella città fatta di luci, musica e vita scomparve per sempre.
Il 17 aprile 1975 Phnom Penh cadde. Nel giro di poche ore, la “perla dell’Asia” smise di esistere: le famiglie furono costrette a lasciare le proprie case, i cinema e i teatri chiusi, la musica cancellata. La capitale rinata oggi non assomiglia più a quella degli anni ’60, se non nei frammenti sopravvissuti: qualche pellicola, poche fotografie, canzoni registrate su vecchie cassette. Il resto vive solo nella memoria di chi c’era.
Questa è la storia della Phnom Penh che era, prima che la rivoluzione cambogiana la trasformasse per sempre.
Per scoprire cosa accadde dopo la caduta della capitale, leggi il nostro approfondimento:
➡️ L’evacuazione forzata di Phnom Penh Link in fondo alla pagina
Documentation Center of Cambodia (DC-Cam) — Archivio storico e fotografico
Cambodian Genocide Program — US Holocaust Memorial Museum
Asia Society — Phnom Penh e la Cambogia anni ’50-’70
Materiale d’archivio fotografico e musicale pre-1975
Phnom Penh street scene, novembre 1964 — Foto di Don Christie, licenza CC BY-SA 4.0 International, via Wikimedia Commons
Royal Hotel, Phnom Penh, novembre 1964 — Foto di Don Christie, licenza CC BY-SA 4.0 International, via Wikimedia Commons
Royal Palace, Phnom Penh, novembre 1964 — Foto di Don Christie, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons